Kemal era sospeso nell’aria, il suo corpo come una marionetta straziata. Ogni colpo dei violenti scagnozzi di Emir cadeva su di lui come un coltello che incideva la pelle, penetrando fino al profondo del suo cuore. Sudore freddo sgorgava, mescolandosi con le gocce di sangue che cadevano sul pavimento gelido.
“Parla, Kemal!” ringhiò Emir, gli occhi come due fiamme ardenti. “Perché hai ucciso Asu? Confessa!”
Kemal morse il labbro, cercando di reprimere il grido di dolore. Ricordava l’ultimo momento in cui aveva visto Asu, il suo volto pallido, gli occhi serrati. Non riusciva a credere di essere stato capace di fare una cosa simile.
“Non l’ho uccisa!” urlò Kemal, la voce rauca. “La amavo!”
Emir rise beffardo, un sorriso pieno di disprezzo. “Amore? L’amore non può giustificare il tuo crimine, Kemal. Hai strappato la vita a lei, e devi pagare il prezzo.”
I giorni di torture passarono lentamente, come un inferno. Kemal era rinchiuso in una stanza buia e umida, l’unico suono che risuonava era il grido e il fruscio della frusta. Era stato picchiato a tal punto che il suo corpo era coperto di lividi, le ossa sembravano volersi frantumare.
Nel dolore più acuto, Kemal ricordava il passato, i bei momenti con Asu. Ricordava gli appuntamenti romantici, gli abbracci caldi, i giuramenti d’amore eterno. Ma ora, tutto ciò era solo un ricordo lontano.
Un giorno, quando Kemal era ormai esausto, uno degli scagnozzi di Emir si avvicinò, porgendogli una foto. Era una foto di Asu con un altro uomo, entrambi sorridenti e felici insieme.
“Questa è la vera storia d’amore di Asu, Kemal,” disse con un sorriso cinico. “Ti ha tradito, e tu sei stato sfruttato.”
Kemal guardò la foto, il suo cuore sembrava stringersi. Era davvero Asu a tradirlo? O c’era qualche complotto dietro tutto questo?
Il dubbio si insinuò nella mente di Kemal, facendolo sentire confuso e disperato. Iniziò a chiedersi se fosse davvero l’assassino.
Nel suo disperato tormento, Kemal pronunciò una debole e solitaria confessione: “Io… io confesso… ho ucciso Asu.”
Le sue parole rimbombarono nella stanza buia, come un campanello che annunciava la fine di una vita. Kemal era caduto, non solo fisicamente, ma anche mentalmente. Aveva lasciato che il dolore e la disperazione trionfassero.